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venerdì 22 luglio 2016

La pazza gioia per la rinascita del cinema italiano.


Il 2016 sembra essere l’anno d’oro del cinema italiano. A confermarlo bastano gli ottimi risultati ottenuti da Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Non essere cattivo di Claudio Caligari: il primo pluripremiato agli ultimi David di Donatello e campione d’incassi; il secondo acclamatissimo dalla critica. Sulla stessa scia, sono però poi arrivati Veloce come il vento per la regia di Matteo Rovere e solo ultimamente La pazza gioia di Paolo Virzì, poco acclamato dalla critica e considerato alquanto commerciale (e affatto d’autore, nonostante sia stato presentato a Cannes e stia facendo incetta di candidature ai Nastri d’Argento). Sicuramente non un film al pari delle già citate pellicole di Mainetti e Caligari, ma La pazza gioia, seppur poco originale nella scelta dei temi trattati e a volte poco rispettoso del corpo delle attrici (purtroppo trovo molto “italiano” il dover per forza strumentalizzare e sessualizzare un corpo femminile), continua ad alimentare le speranze per una vera e propria rinascita del cinema nostrano, capace di regalare capolavori, ma anche tragicommedie decisamente pop, senza cadere nel trash da cinepanettone.

La tematica scelta dal regista toscano risulta alquanto ostica, seppur affatto originale: la follia. Lo spettatore si ritrova subito catapultato a Villa Biondi, una struttura che si prende cura di donne con problemi psichiatrici: niente pareti bianche da ospedale e infermieri molesti stile Qualcuno volò sul nido del cuculo; anzi, tutt’altro. Villa Biondi è più un’utopia psichiatrica, in cui ognuna delle pazienti viene consolata e assecondata nelle proprie manie, in un ambiente armonioso e quasi familiare.  Qui, conosciamo subito una delle protagoniste, Beatrice Morandini Valdirana, un’aristocratica decaduta, impicciona e impossibile da far tacere. A cambiarle la vita sarà la nuova arrivata, Donatella Morelli, una giovane ragazza, tanto misteriosa quanto malinconica, che scappa dalla realtà ascoltando costantemente Senza fine di Gino Paoli, vera colonna sonora del film. Inizialmente, le due donne non sembrano andare molto d’accordo, data la loro apparente diversità; ma in realtà, a legarle, non sarà solo la loro condizione, ma l’incredibile voglia di trovare la felicità, che se per Beatrice consiste negli abiti lussuosi e nelle cene in ristoranti costosissimi, per Donatella, ragazza ben più semplice, consiste nel poter rivedere il suo bambino. La storia inizia con il mare: soggetto più volte ripreso dai cineasti di tutto il mondo, che simboleggia, data la sua vastità la fuga provocata dalla voglia di evasione dalle costrizioni sociali. Non a caso, anche questo film ruota attorno al mare e al suo carico simbolico. Una pellicola a tratti onirica, anche grazie ai colori sapientemente saturati dal direttore della fotografia, Vladan Radovic, che strizza l’occhio al Fellini a colori di Giulietta degli spiriti. Niente di nuovo a livello stilistico insomma, in un film che prende spunto dal grande cinema retrò.

Di primo acchito si potrebbe dire che La pazza gioia sia un film che parla di riscatto sociale, con una trama che strizza l’occhio anche agli ideali femministi, con le nostre due Thelma e Louise (egregiamente interpretate da Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti), bistrattate da tutti gli uomini della loro vita, che trovano un barlume di speranza nella loro folle amicizia. In realtà, vero protagonista della pellicola è il sogno di essere finalmente libere. Forse più che di sogno, sarebbe più appropriato parlare di delirio che sfuma solo dopo dolcemente verso il sogno, fino a scontrarsi con la realtà, affatto crudele però. Sicuramente non siamo di fronte ad un capolavoro, ma il dodicesimo lungometraggio di Virzì merita di essere visto, senza pretese si intende: solo così ci possiamo godere un film che sa emozionare. Non è forse questo quello che un film dovrebbe fare?